La storia di Santa Giuseppina Bakhita
La nascita
Santa Giuseppina Bakhita, nata circa nel 1869 in Sudan, è una santa cattolica molto venerata, specialmente in Italia. La sua storia è un esempio di resilienza, fede e perdono.
Bakhita fu rapita da schiavisti quando era ancora una bambina e fu vittima della tratta degli schiavi in Sudan e in Egitto. Fu sottoposta a violenze fisiche e psicologiche durante gli anni di schiavitù. Il suo nome da schiava, “Bakhita,” significa “la fortunata.”
In Italia
Fortunatamente, nel 1883, Bakhita fu acquistata da un console italiano, il quale in seguito la portò in Italia. Qui, lavorò come governante per la famiglia Michieli, che la introdusse al cattolicesimo. Dopo essere stata battezzata nel 1890, assunse il nome cristiano di Giuseppina Margherita Bakhita.
Bakhita dimostrò una grande fede e dedizione alla sua nuova religione e alla sua nuova famiglia italiana. Dopo la morte del console Michieli, Bakhita venne affidata a un convento gestito dalle Suore della Carità. Qui, continuò a vivere una vita di preghiera e servizio.
Santa
Nel 1950, Bakhita fu dichiarata santa. La sua storia di sopravvivenza e trasformazione ha ispirato molte persone in tutto il mondo, specialmente coloro che hanno vissuto situazioni di schiavitù e oppressione. Santa Giuseppina Bakhita è oggi considerata la patrona delle vittime della tratta degli schiavi e delle persone sfruttate.
La sua festa liturgica si celebra il 8 febbraio, in memoria del giorno in cui fu battezzata. La sua vita è un potente esempio di come la fede, la speranza e l’amore possono trasformare anche le situazioni più disperate in una storia di riscatto e redenzione.
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Quella bimbetta non si era mai messa un vestito addosso fin dal giorno in cui i due ceffi erano sbucati dal nulla tra i campi sbarrandogli il passo e puntandogli un coltellaccio al fianco, per poi portarsela via come si ruba una gallina da un pollaio.
Quel giorno in cui la sua vita viene risucchiata in un incubo, quella bimbetta di 9 anni per la paura dimentica tutto, perfino il suo nome e quello di mamma e papà con i quali viveva serena.
Schiava
Così ci pensano i mercanti di schiavi arabi, non a rivestirla ma a ribattezzarla. “Bakhita”, la chiamano, “fortunata”.
Atroce sberleffo per quella piccola nata nel 1869 in un villaggio del Darfur, nel Sud Sudan, diventata adesso merce umana che passa di mano in mano sui mercati di El Obeid e Khartoum. Un giorno, mentre è al servizio di un generale turco, le viene inciso un “tatuaggio” a colpi di lama sul corpo, 114 tagli, e le ferite coperte di sale perché così restino in rilievo…
La luce
Bakhita sopravvive a tutto e un giorno un raggio di luce colpisce l’inferno. Callisto Legnami si chiama l’agente consolare che la acquista dai trafficanti di Khartoum e quel giorno Bakhita-Fortunata indossa per la prima volta un vestito, entra in una casa, la porta viene chiusa e 10 anni di brutalità inenarrabili restano sulla soglia.
Due anni dura l’oasi quando il funzionario italiano, che la tratta con affetto, è costretto a rimpatriare sotto l’incalzare della rivoluzione mahdista. Bakhita ricorderà di quel momento: “Osai pregarlo di condurmi in Italia con sé”. Callisto Legnami accetta e nel 1884 Bakhita sbarca sulla penisola dove per la piccola ex schiava c’è ad attenderla un destino inimmaginabile.
Diventa la bambinaia di Alice, la figlia dei coniugi Michieli, amici del Legnami, che abitano a Zianigo, frazione di Mirano Veneto.
Suor Moreta
Nel 1888 la coppia che la ospita deve partire per l’Africa e per 9 mesi Bakhita e Alice vengono affidate alle Suore Canossiane di Venezia.
Dopo il corpo, Bakhita comincia a rivestire anche l’anima. Conosce Gesù, impara il catechismo e il 9 gennaio 1890 Bakhita riceve Battesimo, Cresima e Prima Comunione dal Patriarca di Venezia con il nome di Giuseppina, Margherita, Fortunata.
Nel 1893 entra nel noviziato delle Canossiane, tre anni dopo pronuncia i voti e per ben 45 anni sarà cuoca, sacrestana e soprattutto portinaia del convento di Schio, dove lei imparerà a conoscere la gente e la gente ad apprezzare il docile sorriso, la bontà e la fede di quella “morèta”, “moretta”, e i ragazzini a voler assaggiare la “suora di cioccolata”.
Bacio le mani ai negrieri
Per tutta Schio è una giornata di lutto quando Giuseppina Bakhita muore l’8 febbraio 1947 a causa di una polmonite.
Fortunata davvero la sua vita e lo dirà lei stessa: “Se incontrassi quei negrieri che mi hanno rapita e anche quelli che mi hanno torturata, mi inginocchierei a baciare loro le mani, perché, se non fosse accaduto ciò, non sarei ora cristiana e religiosa”.
fonte © Vatican News – Dicasterium pro Communicatione
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