heart, st michael's mount, stone, pietra a forma di cuore

C’è un momento in cui il cuore si siede
e tutto pesa, anche l’aria.
Un momento in cui il silenzio non consola
e senti che le parole non bastano più.

Urlalo
quel “non ce la faccio più!”
fallo uscire come una freccia
come un vento che rompe il silenzio.
Non tenerlo dentro
ché il dolore chiuso diventa peso
diventa muro.

Gridalo al mondo:
“sono stanco, mi rompo, mi perdo”.
E non aver paura delle tue cicatrici
che sono mappe
sono vie per far passare il sole.

Lasciale andare
quelle lacrime che fanno mare
lasciale scavare i solchi
che a volte il cuore ha bisogno
di una nuova geografia.

Accetta di essere rotto
di essere guasto
di avere l’anima graffiata
e sulla pelle lividi che raccontano
una storia.
Lasciale brillare le tue ferite
che sono loro a ricordarti
tutta la strada che hai percorso.

C’è grazia nelle cose rotte
bellezza nei bordi irregolari.
Non temere il dolore
ché è un maestro silenzioso
che ti insegna a vedere meglio
a sentire più forte.

E capirai, alla fine
che ogni lacrima è un dono
che il tuo dolore è un ponte
per arrivare agli altri.
Che essere spezzati
ci rende interi
ci insegna a guardare negli occhi di chi cade
e a dirgli, senza tante parole:
“Io lo so, lo conosco
ti tengo la mano
su questo rumore
si può lavorare”.

(Matteo Sinatti) fonte @web

La via aperta dal dubbio

commento al Vangelo di oggi di Mc 2,13-17, a cura di Stefano Corticelli SJ

Il dubbio è apertura. E l’apertura è tolleranza.

Luciano De Crescenzo

Entro nel testo (Mc 2,13-17)

In quel tempo, Gesù uscì di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed egli insegnava loro. Passando, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. Mentre stava a tavola in casa di lui, anche molti pubblicani e peccatori erano a tavola con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano. Allora gli scribi dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: «Perché mangia e beve insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Udito questo, Gesù disse loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».

Mi lascio ispirare

Nel mio tragitto verso casa devo passare davanti al tavolo delle tasse. Devo passarci, ma ne farei volentieri a meno, perché ogni volta, al vederlo, mi assale un senso di sdegno misto a rabbia. Mi chiedo come possa un uomo dal nome così giudaico, Levi, raccogliere le tasse per i nostri nemici, i romani. Si può essere a tal punto traditori del proprio popolo?
Vedo quelle mani impure prendere le monete della povera gente e metterle da parte, facendone delle pile: alcune per sé, altre per i nostri oppressori. Ecco come definirei Levi: traditore e collaborazionista, una persona che merita solo disprezzo.

Oggi, però, non capisco più niente: uno di noi, quel Gesù che la folla considera uomo di Dio, se non addirittura il Messia, chiama Levi a seguirlo e poi, come se non fosse abbastanza, accetta l’invito a casa sua. Mi chiedo se non sia pazzo, a perdere la propria reputazione per una persona tanto miserabile. Almeno lo facesse per denaro, capirei: il denaro luccica, ha conquistato a sé Levi e quelli come lui. Anche se io non scenderei tanto in basso per arricchirmi, devo ammettere che, sì, i soldi mi tentano, come penso tentino un po’ tutti. Eppure, a essere onesto, non ho nessun motivo per pensare che Gesù si sieda a tavola di quell’uomo per denaro. Egli ne è libero, vive con poco, cerca altro. Che cosa cerca?

E io che cosa cerco? Io che passo per la strada ad osservare, a esprimere giudizi, che cosa sto cercando?

Tante certezze che avevo, le ho perse lungo la strada, la strada di casa.

Stefano Corticelli SJ

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