Leggi e ascolta la nostra preghierina del 17 giugno 2023

L'”occuparsi” del figlio

commento al Vangelo del 17 giugno 2023 di Luca 2,41-51, a cura di Andrea Piccolo SJ

I figli sono come gli aquiloni:
insegnerai loro a volare, ma non voleranno il tuo volo.
Insegnerai loro a sognare, ma non sogneranno il tuo sogno.
Insegnerai loro a vivere, ma non vivranno la tua vita.
Ma in ogni volo, in ogni sogno e in ogni vita
rimarrà per sempre l’impronta dell’insegnamento ricevuto.

Madre Teresa di Calcutta
Preghierina del 17 giugno 2023

Mi preparo

Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore

Entro nel testo (Lc 2,41-51)

I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa.

Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.

Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”.

Ed egli rispose loro: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore.

Mi lascio ispirare

Tra la ripetitività di “ogni anno” e del “secondo la consuetudine”, si inseriscono i 12 anni di Gesù che scombinano le carte. Si tratta di un’età molto vicina a quella considerata dal giudaismo la maturità religiosa di un ragazzo: da quel momento in poi una persona è responsabile per sé stessa di quanto riguarda preghiera, culto e morale, non dipende più dai genitori.

Al di là dell’età anagrafica, l’episodio parla al nostro umano familiare: descrive il figlio che cerca lo spazio per capire e realizzare ciò di cui “deve” occuparsi, dove il “deve” non indica coercizione o obbligo imposto dal di fuori, ma un’energia e un’impellenza che vengono dal di dentro: è dal nucleo della verità di sé che pro-viene il desiderio di realizzare la chiamata alla vita.

Va da sé che ogni ostacolo a questo spazio di autonomia e di rischio, sia nel senso del nido infinito che accomoda la vita, sia nel senso dell’abbandono tragico che la mette in pericolo, è ostacolo alla crescita e alla vita.

L’episodio che oggi leggiamo è di una ricchezza e sapienza straordinarie: a essere coinvolto nella definizione di questo “spazio”, infatti, non è solo Gesù: lo sono anche Maria e Giuseppe, sia come singole persone sia come coppia.

Lo spazio che si crea nelle relazioni, infatti, coinvolge entrambe le parti e viene definito, modellato, plasmato come mediazione continua dei sentimenti che costituiscono la relazione stessa: sia Gesù, sia Maria, sia Giuseppe sono stati chiamati a imparare a dare forma allo spazio vocazionale di Gesù, al suo tentativo di «occuparsi delle cose del Padre suo». Così è e sarà per ogni figlio/figlia d’uomo e di donna.

A essere coinvolti ci sono anche Maria e Giuseppe come coppia: la coppia precede sempre i figli/le figlie; è alleanza previa generativa, testimonianza iscritta nella carne che non si genera mai da soli. Anche nell’affidare alla vita una figlia/un figlio, nel sostenerli nel realizzare il loro “dover occuparsi” mamma e papà sono chiamati ad essere coraggiosamente generativi, dove generatività significa anche lasciar essere e lasciar andare.

Andrea Piccolo SJ

Immagino

Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.

Rifletto sulle domande

In che modo vivi il tuo essere figlio? In quali relazioni invece ti senti genitore?

In quale luogo della tua vita senti l’impellenza di essere più vero e profondo a realizzare la vita?

Quali sono gli ostacoli che senti tra te e la verità? Come li affronti?

Ringrazio

Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi…
Recito un “Padre nostro” per congedarmi e uscire dalla preghiera.

fonte © GET UP AND WALK

Gesù ha incontrato l’umanità ferita, ha accarezzato i volti sofferenti, ha risanato i cuori affranti, ci ha liberato dalle catene che ci imprigionano l’anima. In questo modo ci rivela qual è il culto più gradito a Dio: prendersi cura del prossimo.

Papa Francesco via Twitter

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