vuoto nell'anima di Jean Louis Corby

Tempo di lettura: 6 minuti

Lascia un po’ di spazio! Il vuoto non è un dramma

Commento al Vangelo del giorno 16 febbraio 2025

Sesta domenica del T.O. anno C

Beati i poveri. Guai a voi, ricchi.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 6,17.20-26

In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne.
Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
«Beati voi, poveri,
perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi, che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete,
perché riderete.
Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.
Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
Guai a voi, che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».

Parola del Signore.

«Quaggiù invece,
quanto più cresce quella che si chiama ricchezza,
ma non lo è,
non solo cresce anche il timore,
ma non finisce la cupidigia.
Puoi darmi molti ricchi,
ma puoi forse darmi un solo ricco senza timore?
Un ricco desidera ardentemente di ammassare denaro,
ma trema per la paura di perderlo».

Sant’Agostino, Discorso 53/A, 2

Una meta da raggiungere?

Già Aristotele aveva compreso che tutti gli uomini desiderano essere felici. Il Filosofo pensava alla felicità (eudaimonia) come un fine da raggiungere o una meta da conquistare.

In un certo senso siamo tutti figli di Aristotele: ci sforziamo di conquistare un po’ di spazio nel mondo, alcuni scalpitano più di altri, alcuni sono capaci persino di fare del male agli altri nell’illusione che questo permetta loro di guadagnare un po’ di visibilità.

Ci sono poi coloro che pensano che la felicità dipenda dal potere che hanno nelle mani, in realtà non si rendono conto che è il potere a possedere loro: entrano infatti in una spirale che li rende sempre più assetati fino al punto da portarli all’autodistruzione. Davanti a questi cavalli impazziti che scalpitano per tagliare il traguardo della felicità, si staglia l’immagine serena che troviamo nel libro di Geremia: l’uomo felice, benedetto dal Signore, è come un albero piantato, ben fermo e stabile, lungo corsi d’acqua (Ger 17,8).

La domanda fondamentale

Gesù parte dal desiderio più profondo dell’uomo, proprio quello che anche Aristotele aveva riconosciuto: vogliamo essere felici! Sia in Matteo che in Luca, il primo insegnamento di Gesù riguarda proprio questa domanda, che probabilmente oggi come allora è la domanda fondamentale che alberga nel cuore di tutti noi. Ma, proprio per questo, la risposta di Gesù a questa domanda diventa rivoluzionaria, a partire dal fatto che Gesù usa un termine diverso da quello che troviamo nella tradizione filosofica occidentale: Gesù non usa il sostantivo eudaimonia, come faceva appunto Aristotele, ma usa l’aggettivo macharios.

La felicità non è una cosa da possedere o conquistare, ma è una condizione che qualifica la nostra vita. L’eudaimonia aristotelica si raggiunge mettendo in atto, con la nostra volontà, azioni che ci portano via via a raggiungere quel fine desiderato. Gesù invece ci presenta situazioni, apparentemente paradossali, in cui possiamo renderci conto di essere già felici.

Uno spazio per Dio

A ben guardare infatti le situazioni presentate da Gesù sono caratterizzate tutte da una mancanza: felici sono i poveri che non hanno nessuno su cui contare e proprio per questo nella loro vita c’è spazio per Dio. I poveri sono qui gli ptochoi, coloro che possono contare solo su Dio, ma non ostentano la loro povertà. Questo termine viene infatti da un verbo che ha a che fare con il nascondersi.

Rendetevi conto, sembra dire allora Gesù, che siete felici quando non avete niente, quando piangete, quando vi odiano, quando vi insultano, perché in quel momento sono io la sola vostra ricchezza, la vostra consolazione, la vostra difesa. La felicità non è una meta lontana come per Aristotele, perché è in quel giorno, dice Gesù, che vi potete rallegrare. Voi siete nella condizione di accogliere Dio nel vuoto della vostra vita.

Quando non c’è spazio per Dio

Questo insegnamento si chiarisce ancora di più grazie a quella seconda parte del discorso di Gesù che non si trova nella versione di Matteo: coloro che sono ricchi, che sono sazi o che hanno motivi per ridere, coloro di cui tutti parlano bene, facilmente si dimenticano di Dio.

Pensano infatti di bastare a se stessi, si sentono forti e autosufficienti, il loro io occupa tutto lo spazio della loro vita. Sono infelici perché sono in una situazione tale da escludere completamente Dio dalla loro vita. Non se ne rendono ancora conto, ma sono come tamerischi nella steppa, per usare l’immagine di Geremia: ben presto si accorgeranno di essersi ormai seccati!

Verso la perdizione

Riprendendo una tradizione spirituale precedente, ma certamente anche illuminato da questa pagina del Vangelo, sant’Ignazio di Loyola vede nella ricchezza il primo gradino che porta l’uomo verso la perdizione. Gli altri due sono la vana gloria e la superbia (cf Esercizi spirituali 142). Qui la ricchezza non indica semplicemente i beni terreni, la ricchezza è la pienezza di sé, l’illusione di non aver bisogno di Dio. E purtroppo è una condizione molto diffusa, soprattutto tra coloro che occupano posti di potere, di autorità, coloro che rivestono ruoli per i quali sono riconosciuti. È proprio quella ricchezza che ci fa sentire palloni gonfiati, la vana gloria è infatti quella sensazione di essere qualcuno, mentre agli occhi di Dio siamo solo pieni di aria inutile. Ed è così che si arriva alla superbia, cioè ad escludere Dio dalla propria vita.

Nello sguardo di Gesù

Mentre nella versione di Matteo, Gesù sale su un monte per parlare alla folla, qui, nella versione di Luca, Gesù scende, si trova in un luogo pianeggiante e, per parlare alla gente, deve alzare gli occhi. Gesù non ci guarda dall’alto in basso per commiserare le nostre situazioni, anzi, si mette più in basso, ci parla alzando gli occhi al cielo, perché, mentre vede le nostre miserie, sta già anche pregando per noi.

Leggersi dentro

  • Cosa vuol dire per te essere felice?
  • Quale spazio offri a Dio nella tua vita?

Per gentile concessione © ♥ Padre Gaetano Piccolo SJ

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Eugenio

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