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Leggi e ascolta la favola L’anello della festa

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Il mal d’Africa lo aveva trascinato in una lenta agonia e isolamento dal resto del mondo. La sua non era più una vita ma un progressivo distacco dalla realtà e dagli altri. La ricerca continua del cibo e qualche preghiera o meditazione lo rendeva simile ad un animale braccato dai predatori od anche ad un asceta che guarda con impazienza all’ultimo momento in cui il distacco dalle cose terrene diventa una liberazione e una pace insperata.

Quando il tempo cambiava improvvisamente e si alzava un forte vento si assicurava che le numerose finestre della sua abitazione fossero ermeticamente chiuse. Con la forza incontrollata dei temporali estivi, nei suoi stanchi e atonici muscoli, riaffioravano le visioni delle tempeste di sabbia che spesso, in quegli anni di prigionia in Africa, avevano tormentato il suo sonno risvegliando la nostalgia della sua casa troppo lontana.
Quando era più giovane, d’estate, si avviava verso il mare scendendo a piedi i numerosi scalini che portavano alla marina.

Nella spiaggia libera, dietro il capannone dei marinai, si cambiava frettolosamente e indossava un costume fuori moda con una borchia di metallo alla cintura. Non faceva il bagno ma si sedeva sugli scogli e guardava il mare, forse ripensava all’Africa, a quel sole e a quel mare così diversi e lontani. Passata non più di un’ora chiedeva un passaggio per tornare al paese, si sentiva rinvigorito come se il sole e il mare gli avessero asciugato i malanni, le nostalgie e le paure.

Nei pomeriggi d’estate si sedeva vicino al portone di casa come spesso usavano fare gli anziani in paese, osservava la gente che passava ma era sempre assorto nei suoi pensieri. In occasione di un mio compleanno si alzò dalla sedia e attraversò la strada per entrare nel negozio di fronte, comprò un ciondolo d’argento che mi consegnò sbrigativamente; a rilievo, nel riquadro rettangolare, spiccava una palma piegata dal vento davanti al mare leggermente increspato.

Dopo la morte di mio zio ho aperto con delicatezza il grande cassetto dell’armadio di cucina: lì erano riposti i suoi pochi oggetti personali. Assieme ai fazzoletti e tovaglioli mai usati c’erano gli occhiali da sole e i libri di preghiera, dentro un posacenere di vetro l’anello con la pietra celeste.

Mi ricordo di averglielo visto al dito solo nei giorni di festa, quando ancora usciva per andare a messa e a fare brevi passeggiate. La superficie della pietra è rigata, ho provato a lucidarla ma i segni sono rimasti come quelli lasciati dal suo tempo, dalla sua fede e dalle preghiere in solitudine.

L’anello della festa per me rappresenta l’immagine dell’infanzia, esso mi fa pensare che forse l’Africa non è così lontana e che strofinando la pietra celeste, come con l’acciarino magico, i desideri possano realizzarsi trascinandomi dove la solitudine e le paure non sono più un miraggio nel deserto, ma acqua di sorgente che trascina i rimpianti e guarisce ogni nostalgia.

Ognuno di noi conserva nel cuore il proprio e unico anello della festa, un ricordo al quale l’infanzia regala sempre il magico legame con la fantasia, lo spazio ideale dove le favole restituiscono intatti i colori dei sogni e dell’innocenza, l’oasi di pace e serenità che anche il deserto può far rinascere a nuova vita.

copyright © Educare.it - Anno XXII, N. 6, Giugno 2022
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