Jean-François Millet, L'Angelus serale

Leggi e ascolta la poesia “la mia sera” di Giovanni Pascoli

Biografia di Giovanni Pascoli

Giovanni Pascoli, nato il 31 dicembre 1855 a San Mauro di Romagna e deceduto il 6 aprile 1912 a Bologna, è stato un influente poeta e critico letterario italiano, considerato uno dei maggiori esponenti del decadentismo italiano insieme a Gabriele D’Annunzio.

La sua opera poetica è caratterizzata da una profonda riflessione intima e interiore, che valorizza il particolare e il quotidiano, esplorando temi come l’infanzia e la natura con uno stile lirico e innovativo. Pascoli ha vissuto un’infanzia travagliata, segnata dalla prematura perdita dei genitori e di altri familiari, eventi che hanno profondamente influenzato la sua sensibilità e la sua produzione letteraria.

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Nonostante non si sia mai affiliato attivamente a movimenti letterari specifici, le sue opere riflettono le tendenze spiritualistiche e simbolistiche tipiche della cultura decadentista di fine secolo. La tensione tra la tradizione classicista e le nuove tematiche decadenti è un elemento distintivo della sua poesia, che spesso incorpora elementi autobiografici e psicologici.

Tra le sue opere più note vi sono “Myricae”, “Canti di Castelvecchio” e “Poemi conviviali”, che esplorano la sua visione della poesia come rifugio dal mondo e mezzo per esprimere la voce interiore del “fanciullino”, un concetto chiave nel suo pensiero poetico.

Pascoli ha anche insegnato letteratura greca, latina e italiana in varie università italiane, lasciando un’impronta significativa come accademico. La sua eredità letteraria continua ad essere studiata e apprezzata per la sua capacità di coniugare forma classica e contenuto emotivo in modo armonioso e toccante.

la mia sera di Giovanni Pascoli su www.eugenioruberto.it
tramonto a Dragoni (CE) – 13 giugno 2021 © Remigio Ruberto

Leggiamo insieme

Il giorno fu pieno di lampi;
ma ora verranno le stelle,
le tacite stelle. Nei campi
c’è un breve gre gre di ranelle.

Le tremule foglie dei pioppi
trascorre una gioia leggiera.
Nel giorno, che lampi! che scoppi!
Che pace, la sera!
Si devono aprire le stelle
nel cielo sì tenero e vivo.

Là, presso le allegre ranelle,
singhiozza monotono un rivo.
Di tutto quel cupo tumulto,
di tutta quell’aspra bufera,
non resta che un dolce singulto
nell’umida sera.

È, quella infinita tempesta,
finita in un rivo canoro.
Dei fulmini fragili restano
cirri di porpora e d’oro.
O stanco dolore, riposa!

La nube nel giorno più nera
fu quella che vedo più rosa
nell’ultima sera.
Che voli di rondini intorno!
che gridi nell’aria serena!

La fame del povero giorno
prolunga la garrula cena.
La parte, sì piccola, i nidi
nel giorno non l’ebbero intera.
Né io… e che voli, che gridi,
mia limpida sera!

Don… Don… E mi dicono, Dormi!
mi cantano, Dormi! sussurrano,
Dormi! bisbigliano, Dormi!
là, voci di tenebra azzurra…

Mi sembrano canti di culla,
che fanno ch’io torni com’era…
sentivo mia madre… poi nulla…
sul far della sera.

Ascoltiamo insieme

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