C’era una volta un piccolo paese arroccato tra le montagne, famoso per i suoi abitanti un po’ stravaganti. C’era il fornaio Ernesto, che metteva il pepe in ogni pane convinto che rendesse più felici i clienti; la signora Maria, che vestiva il suo gatto Arturo con abiti da sera per le passeggiate serali; e il giovane Beppe, che parlava solo in rima baciata.
Un giorno, arrivò in paese un nuovo dottore, il Dottor Brunello, un uomo serio e preciso, abituato all’ordine e alla puntualità. Si scontrò subito con le stranezze degli abitanti: il pane pepato di Ernesto gli fece starnutire per una settimana, il gatto vestito di Arturo lo fece saltare sulla sedia e le rime di Beppe lo mandarono fuori di testa.
Frustrato, il Dottor Brunello decise di mettere un po’ d’ordine nel paese. Iniziò con il pane del fornaio, togliendo tutto il pepe e facendolo tornare semplice e gustoso. Poi, convinse la signora Maria a vestire il suo gatto in modo più consono e infine, insegnò a Beppe a parlare in modo normale, aiutandolo a liberarsi dalla sua ossessione per le rime.
Il paese, all’inizio spaventato dai cambiamenti, si rese conto che il Dottor Brunello aveva portato un po’ di beneficio. Il pane era più buono, gli animali erano più felici e le conversazioni con Beppe erano finalmente comprensibili.
Tuttavia, qualcosa mancava. Le giornate erano diventate troppo normali, troppo tranquille. Un giorno, durante una riunione del consiglio comunale, il sindaco si accorse di quanto fosse silenzioso il paese. “Nostalgia dei vecchi tempi?” chiese al Dottor Brunello.
Il Dottor Brunello ci pensò su un attimo. Forse aveva esagerato con il suo bisogno di ordine. Capì che le stranezze degli abitanti erano ciò che rendeva il paese unico e speciale. Da quel giorno, trovò un compromesso: un pizzico di pepe nel pane ogni tanto, un papillon per Arturo nelle occasioni speciali e qualche rima baciata da Beppe per rendere le giornate più poetiche.
E così, il paese visse felice e contento, con un pizzico di pepe, un gatto in papillon e un poeta pasticcere, dimostrando che un po’ di follia a volte è proprio la cosa che serve per dare sapore alla vita.
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