Eugenio piccolo e Remigio

Il senso perfetto: il lamento di un amante

Quello che il bruco chiama fine del mondo tutti gli altri chiamano farfalla

Lao Tze
Eugenio appena nato
Eugenio appena nato – 29 agosto 2006

Buon compleanno, amore mio.

Diciassette anni fa ti vedevo nascere, vedevo brillare la Luce di Dio nei tuoi occhi, affamati di vita.

Oggi, come ieri e come sarà domani, ti amo.

Questo mio lamento d’amore è un inno alla gioia di vederti bimbo, ragazzo e uomo allo stesso tempo.

La vita eterna che hai raggiunto è la congiunzione e il raggiungimento della vita in essere, completa, esaustiva, piena.

Grazie a te ho raggiunto anche io questa pace, la serenità che riesce a tenermi unito a te. E grazie al dolore, intenso dolore, che ho provato ho scalato l’ardua montagna che mi teneva distante da Dio.

Ci sono dei luoghi che ci avvicinano a Dio e che permettono a Dio di farsi vedere: sono le alte vette del dolore, le alte vette della generosità e del servizio, sono le montagne della preghiera, sono le cime del perdono.

Padre Gaetano Piccolo SJ

Lo confesso, come farebbe qualsiasi altro genitore: avrei voluto coronarti il capo d’alloro, ti avrei accompagnato all’altare in dono alla tua sposa, avrei goduto dell’ultima stretta di mano mentre, come natura vorrebbe, il mio corpo lasciava lieve questa terra.

Ma il Signore ha voluto l’esatto contrario: mi tremavano le gambe quando ti ho visto sbocciare, dono di Dio; traboccavo di orgoglio alle prime vette scalate del tuo percorso scolastico; gonfi di lacrime, i miei occhi brillavano alle recite scolastiche, alle vittorie a basket, al tuo primo assaggio d’amore adolescente.

Ho gridato il tuo nome quando gli angeli entrarono nella tua cameretta per portarti in dono al Signore: quasi ad urlargli contro! “Dio, perché vuoi questo?

Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore produce molto frutto

Giovanni 12, 24

Nel suo silenzio assordante, la risposta.

Il mio cuore, fermo, impietrito e freddo, rispondeva: “Sia fatta la Tua volontà

Le visite quotidiane alla tua dimora terrena acuivano il dolore, lo rendevano cieco e sordo.

Il freddo marmo della lapide aumentava il distacco, che cercavo in tutti i modi di superare picchiando su esso, bussando alla “tua porta”.

Perché non rispondi, dammi un segno!

Ecco quello che cercavo, quello che cerchiamo: un segno, il segno.

Ma Dio si manifesta nel silenzio, nel vento leggero, nel rumore delle foglie che si agitano, nelle nuvole che si muovono all’unisono.

Così, dopo 3 mesi dalla tua nascita in cielo, il 17 dicembre 2020, con la tua felpa bianco sfolgorante, mi hai detto, con tono austero: “sto bene, sto bene!

Da quel momento guardo le stelle e vedo quella dove abiti; sento il rumore del mare e ti vedo muoverti veloce nel campo di basket; quando una brezza leggera accarezza la mia pelle sento il calore delle tue mani accarezzarmi.

E nel silenzio della notte, nella pace della preghiera, sulle labbra sorridenti di tua sorella Francesca, ti vedo, ti sento, ti amo.

E ti penso lontano, in un’altra città, per motivi di studio o di lavoro, e spero sempre che da un momento all’altro arrivi la tua telefonata, la tua email, anche una vecchia cartolina.

Ti aspetto, aspettami.


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