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Il dito nella piaga! La fatica di lasciare le ferite

Commento al Vangelo del 7 aprile 2024

Seconda domenica di Pasqua – anno B

Vedeva e toccava l’uomo, ma confessava Dio che non vedeva né toccava.
Attraverso ciò che vedeva e toccava, rimosso ormai ogni dubbio,
credette in ciò che non vedeva

Sant’AgostinoOmelia 121, 5

Chiusi dentro

La paura blocca spesso il nostro cammino. Quando siamo feriti e delusi, facciamo fatica a vedere un segno di speranza. Ci chiudiamo dentro, quasi per evitare che il dolore possa entrare di nuovo nella nostra vita.

I racconti di risurrezione non ci presentano dei discepoli intraprendenti e audaci, capaci di riconoscere immediatamente la presenza di Gesù e di annunciarlo. Anzi, descrivono dei discepoli che hanno bisogno di fare un cammino, hanno bisogno di essere incoraggiati. Solo piano piano apriranno le porte del cuore.

Le porte

Le porte infatti sono protagoniste in questo racconto del Vangelo di Giovanni. Sono le porte del cenacolo, del luogo cioè in cui i discepoli hanno vissuto con Gesù, hanno mangiato con lui, hanno ascoltato le sue parole. Eppure, benché sia la sera del giorno della risurrezione, benché i discepoli abbiano ascoltato l’annuncio di chi ha trovato il sepolcro vuoto, le porte del cenacolo sono chiuse per paura.

Gesù non si rassegna però davanti alle porte chiuse del nostro cuore. Le attraversa. Va al di là del nostro dolore e si mette in mezzo, riprende il suo posto e dona pace al cuore. Solo chi ha incontrato il Risorto sente il desiderio di annunciare il perdono.

Chi è triste, arrabbiato, chi condanna e giudica, chi non lascia spazio alla misericordia, probabilmente ha ancora il cuore chiuso.

Le ferite

A volte pensiamo che si tratti semplicemente di buttarsi il passato alle spalle, come se quello che abbiamo vissuto fosse stato inutile.

Eppure Gesù si fa riconoscere attraverso le sue ferite, non si vergogna di mostrare i segni delle offese e degli oltraggi. Il suo dolore parla. Le ferite non sono mai inutili, sono il segno di come abbiamo amato. Dentro quelle ferite, ognuno di noi si riconosce amato.

Solo chi non si è giocato, solo chi si è chiuso dentro, non è segnato dalle ferite della vita, ma non sa neppure cosa voglia dire amare.

Un cammino

È un cammino e facciamo fatica a percorrerlo. Non è così facile aprire le porte del cuore alla speranza, non è così immediato fare spazio a Gesù nella propria vita. Otto giorni dopo, infatti, le porte del cenacolo sono ancora chiuse. C’è una comunità spaventata, che dice di aver incontrato il Signore, eppure è ancora una comunità chiusa in se stessa, una comunità che non mostra ancora i segni della gioia. Non è tutta colpa di Tommaso, se le parole che raccontano quell’incontro, non riescono a persuaderlo. Sono parole, ma non ci sono i fatti.

Come tutti noi, anche Tommaso ha bisogno di fare un cammino per arrivare a credere. Tommaso è proprio come noi. È chiamato infatti Didimo, che vuol dire sia doppio che gemello. È doppio perché un po’ crede e un po’ non crede, un po’ si allontana dalla comunità, un po’ ritorna. E proprio per questo è nostro gemello, ci somiglia, in lui possiamo rivedere le dinamiche della nostra vita.

Anche noi spesso rimaniamo legati alle ferite, vogliamo mettere il dito nella piaga, quasi per compiacerci e sentire il nostro dolore. Le ferite ci sono, ma vanno riconosciute e superate. Dalla ferita nasce la vita. Dal fianco di Cristo nasce la Chiesa. Tommaso è chiamato a guardare il frutto delle ferite e non le ferite in sé. Non si può passare la vita a lamentarsi delle ferite, bisogna contemplare ciò che le ferite hanno generato. Solo così il dolore si scioglie e diventiamo credenti capaci di annunciare che Gesù è vivo in mezzo a noi. Busseremo allora alle porte dei cuori affinché la gioia possa entrare!

Leggersi dentro

  • Se il Cenacolo fosse un’immagine del tuo cuore, in che condizioni sarebbero le sue porte?
  • A che punto è il tuo cammino di fede in Gesù?

Per gentile concessione © ♥ Padre Gaetano Piccolo SJ

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