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Tempo di lettura: 5 minuti

Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei.

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 8,1-11

In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro.
Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo.
Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani.
Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

Parola del Signore.

In mezzo

Roberto Pasolini

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La liturgia di questa domenica ci pone «in mezzo» (Gv 8,9), nel crocevia di sguardi, parole e giudizi in cui si prefigura già tutta l’intensità drammatica del mistero pasquale di Cristo. Una donna «sorpresa in adulterio» (8,4) viene usata come pretesto per mettere alla prova l’interpretazione della Legge da parte di Gesù, il quale, avendo già rinunciato, nel deserto delle tentazioni, a mettere (Dio) e a mettersi «alla prova», sceglie di (non) rispondere in silenzio e, chinatosi,

«si mise a scrivere col dito per terra» (Gv 8,6). 

Questo gesto così semplice e solenne potrebbe evocare tante cose, al punto che l’opinione dei commentatori si articola in diverse proposte, dissimili tra loro: Gesù starebbe scrivendo per terra i peccati degli accusatori, oppure tracciando linee di misericordia nei loro cuori induriti, o ancora il dito appoggiato sulla terra sarebbe un modo per indurre i suoi interlocutori a meditare più profondamente il dono della Legge che Dio ha offerto all’uomo fatto di polvere. Di certo, «gli scribi e i farisei» (8,3) non sembrano in grado di afferrare nessuno di questi significati, dal momento che «insistevano nell’interrogarlo» (8,7). Il loro cuore non riesce proprio a immaginare un Dio che non interviene immediatamente davanti al peccatore, ma sceglie di chinarsi, di prendere tempo, di differire il momento della condanna. Forse dalla loro memoria è svanito il ricordo di come ci si sente quando si è in mezzo ai peccati, quando non si può che dimorare tra macerie e fallimenti, mentre le ferite ancora aperte sanguinano e faticano a rimarginarsi. Il loro cuore è duro come quelle pietre che vorrebbero scagliare «contro di lei» (8,7), senza alcuna misericordia.
A questo punto, Gesù si alza e dice le parole che svelano il significato del gesto appena compiuto:

«Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra» (Gv 8,7).

Poi si abbassa di nuovo e col dito riprende a scrivere per terra, lasciando a tutti il tempo necessario per recuperare uno sguardo abitato dalla speranza, e imparare a guardare la realtà non solo a partire da quello che è stato, ma anche da quello che potrebbe essere. L’evangelista non racconta se e in quanti istanti la collera di quegli uomini si è placata, né se i loro volti hanno mutato d’aspetto. Non sta scritto nemmeno se essi hanno lasciato cadere la pietra dalla mano e, soprattutto, se si sono realmente allontanati dal giudizio di condanna scritto nel loro cuore: «Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno» (8,9).
La voce sognante del profeta Isaia, che a suo tempo invitava gli esuli a credere che Dio è capace di creare percorsi di novità, strade nei nostri deserti e in mezzo alle nostre sconfitte, può essere la migliore interpretazione di quanto il Verbo di Dio è appena riuscito a compiere in quell’improvvisata aula di tribunale a cielo aperto, presso il tempio di Gerusalemme:

«Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Is 43,18-19).

Il cuore dell’apostolo Paolo era così persuaso di questo vangelo (ante litteram) che la sua vita si era trasformata in una corsa inarrestabile, dove è superfluo, anzi dannoso, voltarsi indietro, col rischio di perdere velocità o direzione:

«… dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù» (Fil 3,13-14). 

In questa domenica siamo invitati a deporre anche noi quelle pietre che restano nelle nostre mani, calamitate dalla sofferenza e dalla solitudine di cui siamo vittime, non sempre incolpevoli. Giudicare senza misericordia non serve a nulla, se non a moltiplicare il dolore e ad approfondire le distanze tra chi è ormai chiamato a essere fratello — cioè prossimo — di tutti. Solo quando riscopriamo che di fronte alla nostra vita c’è soprattutto il volto misericordioso del Padre, siamo in grado di rialzarci con la forza necessaria per non cadere più nella palude del peccato, ricolmi di tutto il vangelo che (non) meritiamo:

«Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,11).

fonte © nellaparola.it

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Eugenio

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