Il regno dei cieli è vicino.
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 4,12-17.23-25
In quel tempo, quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa:
«Terra di Zàbulon e terra di Nèftali,
sulla via del mare, oltre il Giordano,
Galilea delle genti!
Il popolo che abitava nelle tenebre
vide una grande luce,
per quelli che abitavano in regione e ombra di morte
una luce è sorta».
Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».
Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo. La sua fama si diffuse per tutta la Siria e conducevano a lui tutti i malati, tormentati da varie malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici; ed egli li guarì. Grandi folle cominciarono a seguirlo dalla Galilea, dalla Decàpoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano.
Parola del Signore.
Ricevere
Roberto Pasolini
L’avvio dell’epistola rischia di essere oggetto di un grande fraintendimento, se viene letto e inteso con superficialità:
«Carissimi, qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da Dio, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito» (1Gv 3,22).
Potrebbe, infatti, ingenerare la convinzione che, sebbene nel suo Verbo Dio ci abbia comunicato l’immensità del suo amore, noi veniamo esauditi nelle nostre richieste e nelle nostre necessità soltanto se facciamo quello che a lui piace. Tuttavia, se vogliamo riconoscere «lo Spirito di Dio» (4,2) racchiuso in queste parole, dobbiamo provare a leggere esattamente il contrario di questa interpretazione troppo religiosa per essere compatibile con lo scandalo del vangelo.
In armonia con il resto della sua lettera, Giovanni vuole dire che quando siamo in sintonia con il volere e i gusti di Dio, ciò significa che stiamo ricevendo — finalmente — quello che abbiamo imparato a desiderare e a chiedere attraverso l’arte della preghiera. Del resto, la vita filiale inaugurata dal battesimo non è la speranza di ricevere qualunque cosa chiediamo, ma la certezza che tutto ciò che riceviamo nella preghiera proviene dalle mani e dalla provvidenza del Padre. Naturalmente non esistono facili e scontate garanzie di essere nei termini di un rapporto autentico con Dio, se non il pegno invisibile — eppure così tangibile — dello Spirito Santo, la forza d’amore capace di custodire la memoria del Padre nel nostro cuore, dentro e oltre ogni nostra incertezza e incostanza d’animo:
«In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato» (1Gv 3,24).
L’importanza di questa unzione interiore, grazie alla quale la chiesa può vivere la sua esperienza di fraternità e il suo ministero di carità in mezzo agli uomini, è testimoniata dalla grande considerazione che la lettera di Giovanni riserva al tema del discernimento degli spiriti. Così come è stato per la chiesa, guidata dallo Spirito a custodire la «verità tutta intera» (Gv 16,13) contro ogni forma di eresia, anche per l’apostolo l’invito a mettere alla prova gli spiriti, «per saggiare se provengono da Dio» non è da intendersi come una forma di intolleranza nei confronti dei «falsi profeti» (1Gv 4,1), ma come un’appassionata difesa di quella vita filiale che nessuno può darsi, ma niente e nessuno può cancellare:
«Voi siete da Dio, figlioli, e avete vinto costoro, perché colui che è in voi è più grande di colui che è nel mondo» (1Gv 4,4).
L’amore della verità suggerito dalla penna incandescente dell’apostolo Giovanni trova una felice corrispondenza nella verità dell’amore espressa da Gesù con l’avvio del suo ministero pubblico nel vangelo di Matteo. Dopo aver udito che Giovanni — cioè la Legge — ha ormai svolto il suo ruolo pedagogico in vista della salvezza di Dio, il Signore Gesù sceglie di andare «ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali» (Mt 4,13). Questo cambio di residenza assolve, nell’economia dei vangeli, un significato assai importante, che il primo evangelista si premura di sottolineare adeguatamente. L’assunzione di una terra di confine, dove gli ebrei vivevano mescolati ai pagani, come punto di partenza per il ministero del Regno, è la decisione con cui Cristo manifesta tutta la discontinuità che il mistero di Incarnazione introduce nella storia. Una radicale novità finalizzata a favorire l’esplosione e l’espansione della misericordia di Dio nella tenda dell’umanità:
«Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta» (Mt 4,16).
Servono però un cambio di mentalità e uno spostamento di sguardo per accorgersi di questo universalismo di salvezza (cf. 4,17), che possiamo anche noi ricevere (da Dio) come farmaco di guarigione da ogni nostra forma di isolamento e di distanza dalla vita: «Ed egli li guarì» (4,24).
fonte © nellaparola.it
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Padre Gaetano Piccolo SJ
Mi piace fare domande, ma non ho la pretesa di ricevere risposte.
È un gusto, una curiosità, che comincia da me stesso.
La filosofia è il luogo privilegiato dove ho esercitato quest’arte della domanda.
Gesuita, professore ordinario di filosofia presso la Pontificia Università Gregoriana.
Il mio blog: https://cajetanusparvus.com
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