Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria.
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 6,1-6
In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.
Parola del Signore.
Correzione
Roberto Pasolini
Nella buona battaglia della fede — che come ogni sano e santo combattimento non può che logorare e mettere alla prova chi si cimenta in esso — può accadere di dimenticare la posta in gioco prima di aver «resistito fino al sangue» nella purificazione del cuore da tutte le scorie del «peccato» (Eb 12,4). L’autore della lettera agli Ebrei afferma con chiarezza che il punto capitale coinvolto nella lotta spirituale non è altro che la validità e l’efficacia della nostra adozione a figli mediante il battesimo:
«Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui; perché il Signore corregge colui che egli ama e percuote chiunque riconosce come figlio» (Eb 12,5-6).
Tuttavia, la guarigione del cuore da tutte le sue paure e chiusure ha bisogno di assumere il sangue come misura di compimento non perché il Padre attenda dai suoi figli la qualità di un eccellente sacrificio. Al contrario, si deve combattere fino in fondo contro ogni mentalità estranea al vangelo perché, proprio in fondo al cuore, si radica il terribile sospetto di essere orfani perseguitati dalla sventura, anziché figli amati con fedeltà:
«È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal padre?» (Eb 12,7).
L’episodio in cui Gesù, di ritorno nella «sua patria» (Mc 6,1) dove era cresciuto, viene accolto con freddezza e giudizio dalla sua gente, ci fornisce un’ulteriore chiave per comprendere quale «radice velenosa» può opporsi agli innumerevoli “spunti di correzione” che la realtà sempre elargisce con grande puntualità. Dopo un iniziale stupore di fronte ai suoi insegnamenti — apparente segno di apertura e di ascolto — coloro che si trovano dentro la sinagoga si abbandonano a un crescendo di scetticismo nei confronti del (troppo) familiare concittadino dalla cui bocca escono parole di vita e di verità. Anziché incuriosirsi e appassionarsi al nuovo che si sta manifestando, gli abitanti di Nazareth non accettano alcuna correzione circa il loro modo di valutare le cose, pur di non perdere i punti di riferimento acquisiti:
«Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?» (Mc 6,2-3).
L’insorgere del Regno nella persona umana di Gesù, anziché essere percepito come una porta finalmente e totalmente aperta al disegno di Dio sulla storia, diventa per i concittadini di Gesù una pietra su cui ci si trova a inciampare. Non è l’atteggiamento del Signore a porsi come ostacolo, ma l’abitudine a disporre già delle cose e del loro significato a determinare un incedere claudicante e incerto:
«Ed era per loro motivo di scandalo» (Mc 6,3).
L’incarnazione, il criterio assunto da Dio per portare salvezza all’uomo senza effetti speciali e senza pretese di perfezione ideale, può sempre essere giudicata negativamente quando ci si sente troppo familiari con Gesù da non ammettere che in lui possano (ancora) avvenire inedite rivelazioni del volto di Dio. È il rischio che ogni consuetudine religiosa — anche cristiana —inevitabilmente suscita: restringere il campo visivo anziché spalancarlo, generare timore invece che confidenza, produrre «ginocchia fiacche» (Eb 12,12) e non «piedi» capaci di camminare «diritti» (12,13). Tuttavia, poiché Dio è un padre «tenero verso i figli» e sa bene «di che siamo plasmati» (Sal 102[103],13-14), la sua pazienza non si stanca mai di ammaestrare le reticenze del nostro cuore attraverso il dono del suo Figlio. E di correggerci nella forma più incisiva e rispettosa dell’irrevocabile dono di libertà impresso come sigillo sulla nostra creazione e sulla nostra redenzione:
«Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando» (Mc 6,6).
fonte © nellaparola.it
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Per gentile concessione © ♥ Padre Gaetano Piccolo SJ
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