Commento al Vangelo del 4 gennaio 2025

Gesù e la folla

Abbiamo trovato il Messia.

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 1,35-42

In quel tempo, Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù.
Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì  – che tradotto, significa maestro – dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.
Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.

Parola del Signore.

Inganni

Roberto Pasolini

Commento al Vangelo del 4 gennaio 2025,Commento al Vangelo del 4 gennaio 2025 di padre gaetano piccolo sj,Commento al Vangelo del 4 gennaio 2025 di roberto pasolini

Sembra troppo semplicistica, persino un po’ sbrigativa, la riflessione dell’apostolo nei riguardi di un tema così delicato come quello della scelta tra la giustizia e il peccato:

«Chi pratica la giustizia è giusto com’egli [Gesù] è giusto. Chi commette il peccato viene dal diavolo, perché da principio il diavolo è peccatore» (1Gv 3,7-8).

Il ragionamento non fa una piega ma, al contempo, appare quasi scontato, privo di una scintilla di rivelazione. Eppure, la nota con cui Giovanni introduce il suo ragionamento non deve passare inosservata:

«Fratelli, nessuno v’inganni» (1Gv 3,7).

L’ingannevole modo di valutare la realtà a cui si vuole fare riferimento non è tanto quello capace di sovvertire i confini tra il bene e il male — sebbene anche questo acrobatico movimento non sia estraneo al nostro cuore — ma quello che dimentica come ogni nostra modalità di essere e di operare sia sempre “generata” da una parola. Quando ci poniamo in ascolto del Verbo di Dio, in cui la natura umana e quella divina sono indissolubilmente unite, la nostra vita diventa giustizia, quando invece la parola che ascoltiamo è quella del diavolo, la cui incessante attività consiste nel dividere ciò che Dio ha unito, la nostra esistenza assume inesorabilmente la forma del peccato. L’apostolo non esita ad affermare che il fine dell’Incarnazione non è solo la manifestazione dell’amore di Dio, ma pure la sua efficacia per noi e per la nostra salvezza:

«Per questo si manifestò il Figlio di Dio: per distruggere le opere del diavolo» (1Gv 3,8).

Del resto, il racconto evangelico, con cui Giovanni costruisce il primo capitolo del suo trattato teologico sul mistero del Verbo incarnato, custodisce e rivela quali sono i tratti fondamentali della sequela cristiana. Se porre i propri passi dietro a quelli dell’«agnello di Dio» (Gv 1,36) non può che essere l’avvio di ogni forma di discepolato, il vangelo ci ricorda subito la necessità che i passi del nostro cammino siano accompagnati da un desiderio di ricerca e da una disponibilità a dimorare fuori dai recinti delle proprie convinzioni:

«Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: “Che cosa cercate?”. Gli risposero: “Rabbì — che, tradotto, significa maestro —, dove dimori?”. Disse loro: “Venite e vedrete”» (Gv 1,38-39).

L’assunzione della divinità del Verbo come misura di trasfigurazione della nostra umanità nel disegno di Dio è un processo che può maturare solo dentro una comunione di vita che, gradualmente, può diventare anche comunione di cuore e di volontà. Normalmente, per chiunque, l’inizio di questo itinerario di trasformazione è un momento indimenticabile:

«Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio» (Gv 1,40).

Scoprire dove il Signore ama dimorare e imparare che in questo luogo — che è la volontà del Padre — dimora anche il nostro desiderio è la via ordinaria con cui ci viene rivelato quale “destino” si nasconde dentro il mistero della nostra vocazione: «Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa”» (1,42).

L’esperienza del peccato cessa di essere la cifra della nostra vita non quando ci emendiamo da ogni errore e imperfezione, ma quando cessiamo di essere determinati dalle nostre coordinate biologiche per entrare nella libertà dei figli di Dio:

«Chiunque è stato generato da Dio non commette peccato, perché un germe divino rimane in lui, e non può peccare perché è stato generato da Dio» (1Gv 3,9).

Impeccabili lo siamo nella misura in cui restiamo nei diritti maturati attraverso il battesimo: poter esistere davanti al volto del Padre sempre a partire da quello che siamo, affinché il germe dello Spirito ci trasformi nell’immagine del suo Figlio e nella forma della sua carità. Su questo punto, nessuno può né deve ingannarci.

fonte © nellaparola.it

Ascoltiamo insieme


Padre Gaetano Piccolo SJ

Padre Gaetano Piccolo SJ

Mi piace fare domande, ma non ho la pretesa di ricevere risposte.
È un gusto, una curiosità, che comincia da me stesso.
La filosofia è il luogo privilegiato dove ho esercitato quest’arte della domanda.
Gesuita, professore ordinario di filosofia presso la Pontificia Università Gregoriana.
Il mio blog: https://cajetanusparvus.com


Aiutaci ad aiutare!

Commento al Vangelo del 4 gennaio 2025,Commento al Vangelo del 4 gennaio 2025 di padre gaetano piccolo sj,Commento al Vangelo del 4 gennaio 2025 di roberto pasolini
Grazie per aver letto questo articolo, che ti è offerto gratis. Impieghiamo tempo e risorse per donarti tutto questo.
Aiutaci con un tuo piccolo contributo.


Destina il tuo 5x1000 alla nostra associazione
a te non costa nulla, per noi vale tanto!
Aiutaci ad aiutare piccoli malati oncologici
scrivi: 93118920615

Pubblicità

Da leggere:

Lascia un commento

Pubblicità
×