Il Verbo si fece carne.
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 1,1-18
In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.
Parola del Signore.
Ora ultima
Roberto Pasolini
Al termine dell’anno civile, la luce del Natale ci consente di guardare con speciale intensità ai giorni trascorsi, alla grazia del tempo che stiamo vivendo e a quello che ci attende. Riflettendo sul mistero dell’incarnazione del Verbo, san Giovanni arriva ad affermare che la storia degli uomini merita di essere compresa e vissuta come un tempo ormai ultimo. Non nel senso che sia imminente il ritorno di Cristo — come hanno ingenuamente pensato i primi cristiani — ma nel senso che la storia può essere accolta come un tempo pieno, mancante di nulla:
«Figlioli, è giunta l’ultima ora» (1Gv 2,18).
Facendosi simile a noi, infatti, Dio ha scoperto tutte le sue carte, mostrandoci definitivamente la sua natura relazionale e il suo volto di misericordia. Questa pienezza di rivelazione, se da un lato non finisce di stupire e commuovere il cuore dei credenti, dall’altro comporta una drammatica conseguenza:
«Come avete sentito dire che l’anticristo deve venire, di fatto molti anticristi sono già venuti. Da questo conosciamo che è l’ultima ora» (1Gv 2,18).
Apparendo nella fragilità della nostra carne umana, il Signore Gesù non si è esposto solo all’accoglienza e al riconoscimento, ma anche all’indifferenza e al rifiuto. Solo dopo la venuta di Cristo, l’umanità è chiamata ad affrontare il problema dell’anticristo. Da duemila anni, infatti, “poteri” diversi da quello della croce cercano di influenzare la storia e di manipolare le sue trasformazioni. Li possiamo facilmente riconoscere negli idoli che orientano il pensiero, le scelte, gli accordi nella nostra società contemporanea: soldi, successo, benessere, tecnologia, intrattenimento, ecc. Tutte modalità diverse — ma in fondo uguali — con cui l’uomo è tentato di eludere la logica dell’Incarnazione e di abdicare la propria responsabilità di doversi rivelare come figlio di Dio e fratello degli altri uomini:
«Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto» (Gv 1,10-11).
Dalla luce vera che promana dalla mangiatoia di Betlemme l’umanità ha però ricevuto una «unzione» (1Gv 2,20) di conoscenza del mistero di Dio che rende possibile l’apertura a una vita totalmente rinnovata:
«A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati» (Gv 1,12-13).
Al termine di un altro anno vissuto in questo mondo — quel mondo da amare senza malizia e ingenuità — vale la pena domandarsi in che modo abbiamo saputo usare del tempo ricevuto e della libertà non revocata. Gli interrogativi potrebbero essere anche molto semplici: Quanto spazio abbiamo offerto alla realtà dell’Incarnazione di Dio? In che misura abbiamo esercitato il potere ricevuto nel battesimo di diventare figli, incrementando le possibilità di vita per noi e per gli altri?
Solo ponendoci davanti al presepe nella verità di queste domande possiamo scartare l’ultimo regalo che il Natale del Signore sempre ci porge: accarezzare il sogno di fare dell’ultima ora che ci è data un capolavoro di umile consenso alla realtà. Quella di Dio e quella nostra. Per nulla intimoriti di dover ricominciare a tessere la nostra umanità con il rischio di sbagliare o di ferirci. Semmai afferrati dall’unica paura di non voler restituire tutto a colui che tutto vuole donarci. Ma ugualmente consapevoli che le tenebre di ogni timore sono state già dissolte nella mitezza di un Dio per sempre con noi:
«La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta» (Gv 1,5).
fonte © nellaparola.it
Ascoltiamo insieme
Padre Gaetano Piccolo SJ
Mi piace fare domande, ma non ho la pretesa di ricevere risposte.
È un gusto, una curiosità, che comincia da me stesso.
La filosofia è il luogo privilegiato dove ho esercitato quest’arte della domanda.
Gesuita, professore ordinario di filosofia presso la Pontificia Università Gregoriana.
Il mio blog: https://cajetanusparvus.com
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