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Tempo di lettura: 5 minuti
Vendi quello che hai e vieni! Seguimi!
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 10,17-27
In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”».
Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».
Parola del Signore.
Misericordia
MichaelDavide Semeraro
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Il Siracide sembra voler sostenere la nostra speranza senza in alcun modo dare adito all’illusione o alla superficialità:
«Quanto è grande la misericordia del Signore, il suo perdono per quanti si convertono a lui!» (Sir 17,29).
In una sola e densa frase, siamo messi di fronte all’abisso infinito della misericordia di Dio in cui possiamo quasi annullare il piccolo abisso del nostro peccato, normalmente frutto di dimenticanza o di sovraestimazione di noi stessi.
Se, infatti, il Siracide ci conforta con la rassicurazione che la misericordia del Signore è così grande, al contempo ci ricorda che tutta la vita ci è donata come una possibilità e una sfida di continua conversione: «Non perseverare nell’errore…» (17,26). Alla luce delle calde esortazioni della prima lettura possiamo, forse, comprendere meglio quale sia l’errore di questo tale che si avvicina a Gesù con così nobili intenzioni e si allontana da Lui «scuro in volto» e profondamente «rattristato» (Mc 10,22). Se leggiamo con attenzione il testo ed entriamo nel dialogo tra il Maestro e questo potenziale, ma mancato discepolo, possiamo dire che a questo tale mancò il coraggio della misericordia verso se stesso, che gli impedì di chiedere misericordia piuttosto che esibire la sua rettitudine praticata con zelo fin dalla «giovinezza» (10,20).
Clemente d’Alessandria si interroga sulla situazione interiore di questo tale cercando di andare un po’ oltre la sua pretesa: «Perché quel giovane che compiva i comandamenti della Legge così fedelmente fin dalla giovinezza si sarebbe gettato ai piedi di un altro uomo per chiedere l’immortalità? Quell’uomo osservava tutta la Legge e l’aveva praticata fin da piccolo. Ma avverte che, se non manca nulla alla sua virtù, manca ancora qualcosa alla sua vita. Ecco perché viene a domandarla a colui che solo può dargliela; è sicuro di essere a posto con la Legge, tuttavia implora il Figlio di Dio. Gli ormeggi della Legge non lo difendono dal rullio; insicuro, lascia l’ancoraggio pericoloso e viene a gettare l’ancora nel porto del Salvatore. Gesù non gli rimprovera di aver mancato alla Legge, ma si mette ad amarlo, commosso dall’impegno del buon discepolo. Tuttavia lo definisce ancora imperfetto: è buon operaio della Legge, ma senza lo slancio per la vita eterna. La santa Legge è come un pedagogo che conduce verso i perfetti comandamenti di Gesù e verso la sua grazia».
Potremmo analizzare il nostro desiderio di essere discepoli specchiandoci, riga dopo riga, nella riflessione di Clemente d’Alessandria, cercando di capire onestamente quale sia la nostra situazione reale e che cosa veramente ci manca come pure che cosa veramente desideriamo. Le parole del salmo responsoriale sono capaci di farci fare un passo in più, rivelandoci come la beatitudine e la pace del cuore non potranno mai essere il frutto essenziale dei nostri sforzi – pur necessari – ma l’esperienza ardente di una grazia ricevuta e accolta a piene mani e a pieno cuore:
«Beato l’uomo a cui è tolta la colpa e perdonato il peccato» (Sal 31,1).
E il più grave peccato è di presumere di non avere bisogno di misericordia. I cinque verbi con cui il Signore Gesù concretizza la proposta di risposta al suo amore rivelano in questo tale la paura di amare e di lasciarsi amare. Al piccolo pentateuco della sequela: «va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri… e vieni! Seguimi!» (10,21) corrisponde una triste fuga al posto di un ardente e appassionato abbraccio. E l’amore non insegue mai, ma sa trasformarsi in misericordia e assoluto rispetto senza risentimento alcuno: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio» (10,27).
fonte © nellaparola.it
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