Commento al Vangelo del 29 dicembre 2024

Gesù ragazzo nel tempio

Gesù è ritrovato dai genitori nel tempio in mezzo ai maestri.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 2,41-52
 
I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.
Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

Parola del Signore.

Fiducia

Roberto Pasolini

Commento al Vangelo del 29 dicembre 2024,Commento al Vangelo del 29 dicembre 2024 di fra roberto pasolini

Le letture scelte per questa festa che prolunga la gioia del Natale ci aiutano a comprendere quale tipo di santità abbia segnato l’esperienza della famiglia di Nazaret, senza scivolare in quei luoghi comuni con cui potremmo essere tentati di pensare a una comunione di vita aderente al disegno e alla volontà di Dio. Nel Vangelo scopriamo che alla santa famiglia non sono risparmiate quelle esperienze amare e drammatiche che attraversano, fino a ferire, la storia di ogni comunione umana. Nel racconto di Luca, il figlio di Giuseppe e Maria appare libero di prendere una strada diversa da quella che prendono i genitori, senza che questi se ne accorgano (Lc 2,43). Mentre essi credono che egli sia ancora insieme a loro, Gesù sta già sviluppando il suo percorso di vita con originalità, non comparendo più «tra i parenti e i conoscenti» (2,44). Nella famiglia di Nazaret, il figlio esce improvvisamente dallo spettro delle aspettative dei suoi genitori, per cominciare a svolgere il mistero della sua vita in ascolto e in obbedienza alla voce di Dio:

«Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,50).

La santa famiglia si presenta come un luogo dove i genitori devono mettersi in una faticosa e lunga ricerca del loro figlio, in un cammino segnato persino dall’angoscia (2,46.48), senza peraltro arrivare a capire fino in fondo tutto quello che si sta manifestando nella vita del figlio:

«Essi non compresero le sue parole» (Lc 2,50). 

Quando il bambino Gesù viene ritrovato nel tempio, l’evangelista Luca lo coglie in un duplice atteggiamento, che sembra definire il suo profilo più rappresentativo:

«Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava» (Lc 2,46).

Normalmente un figlio manifesta in modo molto naturale quello che ha imparato dai genitori, soprattutto quando è piccolo. Possiamo immaginare che questa capacità di sapersi mettere in ascolto e di porre domande il bambino Gesù l’abbia imparata proprio da Maria e da Giuseppe, coloro che si sono messi in ascolto e in dialogo con la volontà di Dio, prima di arrivare a offrire la loro adesione al disegno di salvezza. 
Secondo il Vangelo, la santa famiglia appare come una comunità di vita aperta al mistero e al disegno di Dio, dove ciascuno sa ascoltare l’altro e formulare le necessarie domande perché nessuna divisione impedisca la crescita di ciascuno in piena libertà. Di fronte al figlio finalmente ritrovato, Maria non lo rimprovera e non tace, ma lo interroga:

«Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo» (Lc 2,48).

Molte tensioni e dolori che sperimentiamo dentro le mura domestiche nascono dall’incapacità di saper comunicare all’altro i sentimenti e le domande che portiamo nel cuore. Maria e Giuseppe, invece, si mostrano capaci di custodire un cuore che non «rimprovera nulla» (1Gv 3,21), ma sa comunicarsi con fiducia, lasciando l’altro libero di continuare a percorrere il proprio cammino: «Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49). 
Del resto, come le prime due letture affermano concordi, ogni figlio viene da Dio e a lui appartiene (I lettura) e ogni figlio di Dio non può che essere accolto come una misteriosa realtà in continua trasformazione (II lettura). Una famiglia santa, dunque, è una comunione umana dove non ci si dimentica mai di questa fondamentale appartenenza a Dio che ciascuno è chiamato a scoprire e a vivere. Maria e Giuseppe condividono i sentimenti di paura e angoscia che ogni genitore conosce, ma rimangono sottomessi a Dio, ricordandosi che appartiene a lui questo figlio che hanno ricevuto. Per questo riescono a rimanere uniti di fronte a Gesù e autorevoli nei suoi confronti:

«Gesù partì con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso… E cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,51-52).

Il Cristo bambino si sottomette volentieri a questi genitori che rimangono sottomessi alla volontà di Dio. Così cresce la vita e l’amore in una famiglia umana, attraverso un amore premuroso che non diventa mai ossessivo, perché è radicato in una robusta e viva speranza:

«abbiamo fiducia in Dio» (1Gv 3,21).

fonte © nellaparola.it

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