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Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 13,1-9
In quel tempo, si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.
O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».
Parola del Signore.
Esserci
Roberto Pasolini

Il vangelo di questa domenica prende avvio da un terribile fatto di cronaca, uno di quei momenti nei quali il Dio di Israele sembra ritrarsi e non esserci, come custode e difensore del suo popolo. Alcuni Galilei erano stati sgozzati da Pilato mentre offrivano i loro sacrifici nel tempio. Quando il fatto viene riferito a Gesù, la sua risposta è a dir poco sconcertante:
«Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo» (Lc 13,2-3).
Anziché indulgere in sguardi di compassione o in parole di rassicurazione, il Signore cambia radicalmente il punto di vista, passando da una cronaca nera all’altra, per rilanciare un solo monito: «Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo» (13,5). Come in altre occasioni, anziché stare al gioco delle nostre domande, il Maestro ci costringe a riconoscere con quali punti di domanda stiamo interrogando la storia e le storie in cui siamo immersi. Non sempre e non tutte le domande, infatti, hanno o meritano risposta. Eppure, con quanta ostinazione, di fronte al mistero del male e della sofferenza, tendiamo — inutilmente — a cercare le cause e le ragioni, illudendoci di poterci rasserenare attraverso una maggior conoscenza delle relazioni di causa ed effetto che presiedono la realtà.
Il racconto dell’Esodo ci ricorda che l’unico approfondimento capace di cambiare veramente le cose è la via del coinvolgimento personale. Nel roveto che arde senza consumarsi, Mosè scopre il volto di un Dio che sta davanti alla vicenda umana senza rimanerne estraneo o distante:
«Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto» (Es 3,7-8).
Dichiarando il mistero del suo nome, Dio preferisce rivelare il suo desiderio di esserci piuttosto che svelare le opere necessarie da compiere per la nostra salvezza: «Io sono colui che sono!» (3,14), che significa: «Io ci sono e ci sarò, Io sono con voi».
Anche nella parabola evangelica si manifesta il medesimo volto di un Dio presente e accondiscendente. Il Signore Gesù paragona l’urgenza della conversione all’atteggiamento — paziente — di un padrone che sembra disposto a credere che attendere sia meglio che pretendere:
«Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai» (Lc 13,8-9).
Se da lontano le cose sembrano talvolta orribili e irrimediabili, da vicino scopriamo che tutto ha — e merita — un destino di salvezza e di santità. Quel Dio che qualche volta sembra non esserci, in realtà, mai smette di essere presente a noi e a tutti con la sua caparbia fiducia nella possibilità che la vita riesca a portare frutto. Anche quando i nostri occhi vedono solo un interminabile deserto da attraversare:
«[…] tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo» (1Cor 10,3-4).
Il cammino quaresimale ci riprende per mano, invitandoci ad abbandonare le domande con cui proviamo a schermarci dal rischio di essere feriti dalla realtà. La conversione del cuore passa anche per la dismissione delle solite mormorazioni (cf. 10,10), radicate in noi nella paura di (far) soffrire. Il Dio dell’Esodo e dell’Incarnazione, nella storia di noi e di tutti, continua a esserci, «lento all’ira e grande nell’amore» (salmo responsoriale). In lui anche noi possiamo rimanere o fare ritorno. Ricominciare a esserci.
fonte © nellaparola.it
Leggiamo ed ascoltiamo insieme il commento di Padre Gaetano Piccolo SJ
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