non giudicare, donna che giudica

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Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 6,27-38


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 
«A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro.
E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro.
Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi.
Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso.
Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».

Parola del Signore.

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Roberto Pasolini

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In questa domenica, lasciando maturare tutte le conseguenze del manifesto programmatico – e profetico – delle beatitudini, il Signore ci tocca con una parola in grado di intercettare e sollecitare le corde più delicate del nostro cammino come discepoli:

«Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono» (Lc 6,27).

L’invito a mantenere uno sguardo di speranza nei confronti dell’altro, anche quando la sua vita si mostra in modo palese contro la nostra, risuona sempre molto, troppo impegnativo per la nostra sensibilità, al punto da sentirci quasi scoraggiati prima ancora di provare a metterlo in pratica.
Forse, ciò che maggiormente crea un senso di panico nell’ascolto di questa Parola non è tanto la sua impossibilità a realizzarsi nella nostra vita, quanto il rischio di perdere il controllo se scegliamo di esporci a una trasformazione di tutto il nostro modo di essere e di sentire:

«E come eravamo simili all’uomo terreno, così saremo simili all’uomo celeste» (1Cor 15,45).

La riflessione che Paolo elabora, ponendo a confronto «il primo uomo» (Adamo) con «il secondo uomo» (Cristo), diventa l’occasione di domandarci con quanta serietà stiamo assumendo la responsabilità del nostro battesimo, dove è stata inaugurata un’umanità nuova, il cui criterio di riferimento non può essere solo il nostro sentire, ma anche la potenza d’amore di Dio e la forza rigenerante del suo Spirito.
La narrazione offerta dalla liturgia come prima lettura è un ulteriore elemento di riflessione, perché ci segnala come l’amore per il nemico sia una scelta possibile nella misura in cui osserviamo l’altro non solo a partire dal nostro bisogno, ma anche dalla sua relazione con l’Altissimo:

«Non ucciderlo! Chi mai ha messo la mano sul consacrato del Signore ed è rimasto impunito?» (1Sam 26,9).

Davide avrebbe l’occasione – e forse anche il diritto – di farsi giustizia contro il suo avversario (Saul), il quale «dormiva profondamente tra i carriaggi e la sua lancia era infissa a terra presso il suo capo» (26,7). È questo il modo con cui Abisài interpreta la circostanza in cui sembra che la provvidenza abbia disposto le cose in favore di Davide: «Oggi Dio ti ha messo nelle mani il tuo nemico» (26,8).
Eppure, proprio quando il nostro «nemico» è alla portata delle nostre mani, abbiamo finalmente la possibilità di compiere l’incessante passaggio dall’uomo «fatto di terra» verso «l’uomo» nuovo che «viene dal cielo» (1Cor 15,47), gustando l’unica ricompensa di una vita riconosciuta e amata dal Padre celeste:

«Amate i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi» (Lc 6,35).

Davide scopre di avere dentro di sé i tratti essenziali di questa regalità – prima ancora di ricevere lo scettro di Giuda e di Israele (cf. 2Sam 5) – nel momento in cui decide di non «stendere la mano» sull’altro anche se «nessuno» poteva accorgersene: «Tutti dormivano, perché era venuto su di loro un torpore mandato dal Signore» (1Sam 26,12). Il futuro re di Israele intuisce che un atto di violenza non sarebbe altro che l’illusione di rimuovere l’evidenza e la differenza dell’altro. Davide rifiuta la proposta di Abisài lasciando che sia il Signore – con i suoi tempi – a valutare e a giudicare ogni cosa secondo la sua giustizia: «Lascia dunque che io l’inchiodi a terra con la lancia in un sol colpo e non aggiungerò il secondo» (26,8). In realtà, la terra da cui tutti siamo stati tratti è il luogo in cui non conviene inchiodare nessuno, ma a cui possiamo farci inchiodare dalla logica dell’amore più grande, fino a diventare simili al Signore «buono e grande nell’amore»: egli «non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe» (salmo responsoriale).

fonte © nellaparola.it

Leggiamo insieme la meditazione di Padre Gaetano Piccolo SJ


Eugenio

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