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Il cieco fu guarito e da lontano vedeva distintamente ogni cosa.
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 8,22-26
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli giunsero a Betsàida, e gli condussero un cieco, pregandolo di toccarlo.
Allora prese il cieco per mano, lo condusse fuori dal villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: «Vedi qualcosa?». Quello, alzando gli occhi, diceva: «Vedo la gente, perché vedo come degli alberi che camminano».
Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente, fu guarito e da lontano vedeva distintamente ogni cosa. E lo rimandò a casa sua dicendo: «Non entrare nemmeno nel villaggio».
Parola del Signore.
Di nuovo
Roberto Pasolini
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Molti giorni scorrono monotoni e lenti, come un fiume che, con regolarità, calca e scava la terra in cerca di un luogo dove effondere il suo silenzioso impeto. A noi sembra che non accada nulla di nuovo, anzi che tutte le cose per cui attendiamo un segno di cambiamento e di novità sonnecchino, sepolte sotto un diluvio di acqua che tutto copre e confonde. Al pari di Noè, dopo i momenti più terribili e temibili, mandiamo messaggi e messaggeri verso l’esterno, per vedere «se le acque si fossero ritirate dal suolo» (Gen 8,8). Tante volte, tuttavia, dobbiamo constatare che mancano nuove condizioni per tornare a vivere: «ancora acqua su tutta la terra» (8,9). Eppure, i tempi di dilazione e di attesa che siamo chiamati a patire ci infondono anche un pizzico di fiducia nella storia, perché attestano che la fine del mondo, per noi, non è ancora finita. Anzi, possiamo continuare a restare nella speranza di riuscire a vedere presto anche «qualcosa» (Mc 8,23) di nuovo all’orizzonte.
La prospettiva simbolica offerta a noi oggi dalle Scritture, attraverso la fine del diluvio universale, può essere una chiave per accedere al senso profondo del vangelo odierno, dove si racconta la conclusione di un’altra interruzione di vita, per mano del Signore Gesù e della sua forza terapeutica. Un cieco viene condotto «per mano fuori dal villaggio» (8,23), lontano dal chiasso delle chiacchiere e dall’inganno dei luoghi comuni. Al riparo dalla città, dove la luce sembra diffondere una certa chiarezza, Gesù compie un miracolo di illuminazione in due tempi, perché il venire alla luce non è mai evento di un istante, ma storia di molti sospiri e di incerti passi. Dal male profondo che affligge il nostro cuore e la nostra carne siamo guariti lentamente, perché la medicina di Dio non vuole e non può essere una pozione magica, ma un’offerta d’amore da accogliere e da metabolizzare rispettando tutti i tempi e i modi in cui la nostra umanità è capace di lasciarsi salvare. Infatti, qualsiasi autentica illuminazione con cui torniamo a vedere la realtà come luogo di vita e tempo di possibili promesse non può che avvenire attraverso una certa sinergia con il nostro desiderio.
Dice il Signore Gesù al cieco: «Vedi qualcosa?» (8,23). La risposta è affermativa, ma la guarigione parziale. La vista soffre di una certa alterazione focale:
«Vedo la gente, perché vedo come degli alberi che camminano» (Mc 8,24).
Viene così descritta la prima tappa della nostra guarigione, quella in cui siamo in grado di riconoscere già qualcosa ma non di vedere «chiaramente» e «distintamente ogni cosa» (8,25). All’interno di questo parziale riscatto, ci è offerto il pegno di uno sguardo penetrante che, pur non riuscendo ad avere una visione d’insieme, è già capace di leggere dentro la realtà. Proprio come il cieco, che ha questa sublime visione degli uomini come alberi che camminano: immagine profetica e misteriosa della nostra divino-umanità, da una parte pienamente radicata nella terra, dall’altra pellegrina e forestiera in questo mondo, protesa a una vita celeste.
Attraverso questa capacità di cogliere il senso di alcune cose e di tendere incessantemente a quelle che ci saranno rivelate e donate, il Signore ci coinvolge nel miracolo della nostra illuminazione, invitandoci a mettere insieme i pezzi della nostra vita per imparare a meditarla dentro il disegno d’amore del Padre. In questa cecità già raggiunta dalle «mani» del Salvatore, possiamo diventare, «di nuovo» (8,25), discepoli pazienti e capaci di amore. Disposti a soffrire e ad attendere che compaia all’orizzonte «un ramoscello di ulivo» (Gen 8,11) a darci piena conferma di quella pace che desideriamo e di quella luce sufficiente a rimetterci in cammino.
fonte © nellaparola.it
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