condivisione dei pani

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Beati i poveri. Guai a voi, ricchi.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 6,17.20-26

In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne.
Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
«Beati voi, poveri,
perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi, che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete,
perché riderete.
Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.
Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
Guai a voi, che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».

Parola del Signore.

Confidare 

Roberto Pasolini

Commento al Vangelo del 16 febbraio 2025,commento al vangelo di domenica 16 febbraio 2025

Il racconto delle beatitudini di Luca mostra importanti differenze rispetto alla recensione matteana, più celebre e maggiormente utilizzata nella liturgia e nella catechesi. Mentre il primo vangelo fa proclamare a Gesù il suo solenne insegnamento in cima a una montagna della Galilea, Luca preferisce collocare il discorso «in un luogo pianeggiante», mentre attorno a Gesù

«c’era una gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone» (Lc 6,17),

conferendogli una spiccata indole profetica. La differenza geografica esprime infatti un diverso valore teologico che la sfida delle beatitudini intende porre al cammino del discepolo in ascolto della parola del vangelo. Se la montagna può essere considerata il luogo per eccellenza della rivelazione di Dio e del suo pensiero, dove le parole acquistano inevitabilmente un valore magistrale, la pianura è piuttosto il teatro delle grandi battaglie, dove è necessario lottare per scegliere e confermare la propria adesione alla verità. Ponendo le beatitudini in pianura è come se Luca facesse estrarre al Signore Gesù la spada di fuoco della sua parola per discriminare e trafiggere l’anima (cf. Lc 2,35) del suo uditorio, trasformando un discorso di rivelazione in una precisa esortazione al combattimento spirituale.
Mentre Matteo ritiene sufficiente tracciare un ottagono di beatitudini, per delineare lo spazio di libertà riservato al discepolo del Regno, Luca ha bisogno di accostare a ciascuna delle quattro beatitudini una serie di «guai», in modo che ogni discepolo abbia la possibilità di verificarsi non solo sulla sincerità ma anche sulla effettività del proprio orientamento al vangelo. Ritmando il discorso con il pronome «voi», quale oggetto specifico delle beatitudini e dei guai a cui espone la rivelazione di Dio, Luca sembra voler accompagnare ogni uomo e ogni donna a cui è rivolto l’annuncio del Regno a maturare la consapevolezza che contraddizione e ambiguità sono ingredienti «normali» di ogni autentico percorso di fede. In tal modo l’evangelista della misericordia di Dio pone l’accento sull’aspetto drammatico dell’Incarnazione, inserendo le parole di Gesù nella linea della più genuina predicazione profetica:

«Maledetto l’uomo che confida nell’uomo… Benedetto l’uomo che confida nel Signore» (Ger 17,5.7). 

La voce di Geremia ci consente di approfondire le beatitudini lucane attraverso due metafore vivide e pregnanti. La prima è quella del «tamerisco nella steppa» (Ger 17,6) che non vede «venire il bene»: è l’immagine di chi «pone nella carne il suo sostegno» e, così facendo, allontana «il suo cuore dal Signore» (17,5). La seconda, invece, è quella dell’albero «piantato lungo un corso d’acqua», per il quale non sembra necessario essere consapevole del sopraggiungere di un bene. Le sue radici, stese naturalmente verso la corrente, sono in grado di assicurare fioritura e fecondità perenni: «Non smette di produrre frutti» (17,8). 
Di fronte a questa profezia, possiamo rileggere il senso delle beatitudini e affermare che felici o nei guai ci troviamo nella misura in cui il nostro cuore è rivolto al Signoreoppure rimane chiuso in se stesso. Prima di essere categorie morali, le figure tracciate dal discorso profetico di Gesù vogliono essere figure esistenziali, con le quali ci possiamo identificare per domandarci quanto ci sentiamo realmente collegati alla corrente d’amore di un Dio che respinge «i superbi» e dona la sua «grazia agli umili» (cf Colletta). Il banco di prova di ogni nostro discernimento interiore resta sempre il mistero della Risurrezione di Cristo, dove possiamo verificare se la nostra «speranza in Cristo» si gioca soltanto «per questa vita» (1Cor 15,19), oppure è in grado di farci confidare in un ampio orizzonte dove la gioia è condivisa e donata a tutti:

«Ora Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti» (1Cor 15,20).

fonte © nellaparola.it


Eugenio

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