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Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini.
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 7,1-13
In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme.
Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti -, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».
Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto:
“Questo popolo mi onora con le labbra,
ma il suo cuore è lontano da me.
Invano mi rendono culto,
insegnando dottrine che sono precetti di uomini”.
Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».
E diceva loro: «Siete veramente abili nel rifiutare il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione. Mosè infatti disse: “Onora tuo padre e tua madre”, e: “Chi maledice il padre o la madre sia messo a morte”. Voi invece dite: “Se uno dichiara al padre o alla madre: Ciò con cui dovrei aiutarti è korbàn, cioè offerta a Dio”, non gli consentite di fare più nulla per il padre o la madre. Così annullate la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte».
Parola del Signore.
Incrementare
Roberto Pasolini
![Commento al Vangelo del 11 febbraio 2025,commento vangelo 11 febbraio 2025,commento vangelo oggi 11 febbraio 2025,commento vangelo 11 febbraio 2025 roberto pasolini,commento vangelo 11 febbraio 2025 gaetano piccolo](https://nellaparola.it/ufiles/small/UID5EC57A1C06FBA_image_1.jpg?t=05042021)
Il disegno originario di Dio sulla creazione, documentato dal racconto della Genesi, ci fa contemplare nella liturgia di oggi un vertice di bellezza e di responsabilità. A differenza del resto del creato, il Signore Dio riserva alla generazione dell’umanità — maschile e femminile — la manifestazione di uno speciale sentimento di contentezza e, potremmo dire, di paterno orgoglio. Tutto ciò che esce dalle mani dell’Altissimo è qualificato come buono, ma l’uomo viene addirittura dichiarato “molto” buono, perché creato a sua «immagine» e secondo la sua «somiglianza». Ai primi commentatori del testo sacro non è sfuggita questa ridondanza di espressioni, giungendo subito a un’acuta e misteriosa interpretazione. Mentre l’essere creati a immagine di Dio può essere assunto come puro dono, la chiamata a diventare anche simili a lui si configura come un compito affidato alla nostra libertà:
«Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra […] Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (Gen 1,27-28.31).
Tuttavia, il dono di essere stati posti all’interno di una relazione così particolare con il Creatore non ci esime — al pari delle altre specie animali — dalla responsabilità di dover obbedire, ogni giorno, a un primo grande imperativo: crescere e incrementare gli spazi della vita, in cui la prosperità deve essere un destino assicurato sia a noi che agli altri. La benedizione contenuta in questo comandamento, posto come un segno e un sigillo sulla nostra vita, è la gioia e la fatica a cui siamo continuamente sollecitati del nostro essere uomini e donne posti a vivere all’interno del mondo e della storia. Eppure, è anche la prima trasgressione in cui cadiamo, ogni volta che finiamo nel tranello di un’esistenza schematica e rituale, dove diventa più importante osservare le abitudini — anche religiose — piuttosto che osare una fedeltà creativa al comandamento della vita:
«Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini» (Mc 7,6-8).
I farisei e gli scribi, apostrofati energicamente dalla voce del Signore Gesù, sono accusati di utilizzare la fede per venir meno alla loro fondamentale chiamata, attraverso una formale adesione alla prassi religiosa in cui si nasconde l’oblio e la dimenticanza del comandamento di Dio a cercare e dilatare gli spazi della vita. Si tratta di una tentazione velenosa, che suggerisce di mettere a posto la coscienza, anziché comprometterla con la realtà scegliendo e decidendo il meglio (sempre) possibile in ogni circostanza. Un grave rischio da cui nessuno deve sentirsi al riparo, perché «di cose simili», tutti ne facciamo «molte» (7,13).
Il solo antidoto a questo modo di decrementare le tensioni e le intenzioni della creazione consiste nel recuperare lo sguardo compiaciuto di Dio sulla realtà. Anzitutto la nostra realtà, così facilmente bistrattata e sottovalutata dai nostri stessi occhi, non ancora tersi dalle logiche della Pasqua. Riuscire a vedere che tutto — proprio tutto — è molto buono significa diventare capaci di cessare — finalmente — da ogni lavoro. E, con paziente amore, attendere che le situazioni in cui siamo immersi, soprattutto quelle più oscure e ingarbugliate, ricevano dal Signore Dio l’occasione di rivelare la loro meravigliosa origine, il loro celeste destino.
fonte © nellaparola.it
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Per gentile concessione © ♥ Padre Gaetano Piccolo SJ
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