Commento al Vangelo del 11 dicembre 2024

Venite a me, voi tutti che siete stanchi.

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 11,28-30
 
In quel tempo, Gesù disse:
«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

Parola del Signore.

Senza affannarsi

Roberto Pasolini

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Talvolta il nostro dolore ci sembra così grande e invincibile, che perdiamo di vista il contesto in cui il mistero della nostra vita, così come quella degli altri, è continuamente generata, custodita e accompagnata dalla grazia di Dio:

«Levate in alto i vostri occhi e guardate: chi ha creato tali cose? Egli fa uscire in numero preciso il loro esercito e le chiama tutte per nome; per la sua onnipotenza e il vigore della sua forza non ne manca alcuna» (Is 40,26).

Sollevare gli occhi nei momenti in cui ci sentiamo troppo vessati o trascurati nelle nostre afflizioni non è certo un’operazione agile da compiere. Eppure il Signore ci invita a compiere questo impegnativo approfondimento di sguardo non per mostrarsi insensibile alla nostra sofferenza, ma per evitare che iniziamo a misurare la sua capacità di offrire sollievo alla nostra esistenza con parametri inadeguati o condizionati dalle nostre esperienze: «A chi potreste paragonarmi, quasi che io gli sia pari?» (40,25).

Del resto, siamo abituati a prendere così sul serio quanto la nostra sensibilità ci restituisce da sentirci non solo in diritto di brontolare e mormorare continuamente, ma anche autorizzati a restituire – in forme più o meno evidenti – un po’ di quel male che avvertiamo scorrere dentro la nostra vita. Ci dimentichiamo che la nostra afflizione, anche quando è grande, resta piccola, perché è parte di un tutto a cui partecipiamo: la vita degli altri, il creato, la storia. Il Signore conosce questo lato umbratile del nostro cuore e, con amore, lo svela e lo salva:

«Perché dici, Giacobbe, e tu, Israele, ripeti: “La mia via è nascosta al Signore e il mio diritto è trascurato dal mio Dio?” Non lo sai forse? Non l’hai udito? Dio eterno è il Signore, che ha creato i confini della terra» (Is 40,27-28).

La sofferenza va distinta dal male. Non sempre alla radice di un dolore c’è un male, il quale è sempre invece all’origine di ogni sofferenza, patita o impartita. Il Signore Gesù non è venuto a togliere la sofferenza, ma a vincere il male, indicandoci l’unica strada attraverso cui esso può essere neutralizzato: con l’esercizio della condivisione fino alla compassione, con l’arte dell’amore fino al perdono. Solo il male non restituito — e non “celebrato” come libertà di ferire — perde il suo veleno e smette di isolarci. Solo così si può sfuggire alla pesantezza del vivere, accogliendo l’invito a uscire da quei velenosi isolamenti in cui, così spesso, amiamo concepirci e restare:

«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,28-29).

È una provocazione forte quella che ci sorprende oggi, a metà dell’itinerario di Avvento. Ci colpisce e ci affonda nella più incrollabile delle persuasioni: quella di essere almeno capaci di non scegliere la strada più faticosa, di non essere così stolti da portare sulle spalle più pesi di quanto sia necessario fare. Mentre camminiamo, ancora una volta, verso Betlemme per contemplare il mistero dell’Incarnazione del Verbo, siamo invitati dalla parola profetica a compiere un deciso passo di lucidità verso noi stessi, per riconoscere che «stanchi e oppressi», anzitutto, lo siamo molto spesso. Ma anche per essere disposti ad ammettere che non sempre il peso che avvertiamo sulle nostre spalle è reale. Molte volte esso viene «partorito» dalla nostra angoscia oppure, semplicemente, dilatato dalla nostra incapacità di chiedere aiuto e sostegno. Il «peso» della vita si fa «leggero» (11,30) non quando scompare la consistenza delle cose e delle situazioni che siamo chiamati ad assumere, ma quando ricominciamo a vivere non più da noi stessi:

«Quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi» (Is 40,31).

fonte © nellaparola.it

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Padre Gaetano Piccolo SJ

Padre Gaetano Piccolo SJ

Mi piace fare domande, ma non ho la pretesa di ricevere risposte.
È un gusto, una curiosità, che comincia da me stesso.
La filosofia è il luogo privilegiato dove ho esercitato quest’arte della domanda.
Gesuita, professore ordinario di filosofia presso la Pontificia Università Gregoriana.
Il mio blog: https://cajetanusparvus.com


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