Dio non vuole che i piccoli si perdano.
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 18,12-14
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Che cosa vi pare? Se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita?
In verità io vi dico: se riesce a trovarla, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite.
Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda».
Parola del Signore.
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Roberto Pasolini
L’ossimoro dell’Avvento — con le sue grandi metafore bibliche, dove immagini di forza e di debolezza si avvicendano e si contaminano a vicenda — comincia a portare i suoi frutti, orientando il nostro cuore in modo sempre più deciso verso il dolcissimo e sublime mistero dell’incarnazione del Verbo. Il profeta Isaia, accompagnatore privilegiato di questo tempo liturgico, pronuncia oggi parole di grande consolazione, che rinfrancano i nostri passi incerti e riscaldano i nostri corpi intirizziti, ormai anche a causa dell’imminente inverno. Se da un lato non può che suscitare una grande speranza l’avvio della seconda parte del libro di Isaia (cc. 40-55), dall’altro occorre stupirsi del fatto che, agli occhi di Dio, si rende necessario pronunciare a voce alta la buona notizia di una misericordia immeritata eppure attesa:
«Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta, la sua colpa è scontata, perché ha ricevuto dalla mano del Signore il doppio per tutti i suoi peccati» (Is 40,2).
La vigilanza a cui siamo chiamati in questo periodo — che si esprime soprattutto nell’ascolto e nella meditazione delle Scritture, affinché il nostro cuore sia nutrito da buone e non da cattive parole — vuole condurci a riconquistare uno sguardo fiducioso sulla volontà e sull’iniziativa di Dio nei nostri confronti. Ma per renderci prima disponibili, poi anche docili all’annuncio di salvezza, dobbiamo permettere che la voce di Dio cresca nella nostra sensibilità come un grido capace di squarciare il silenzio dell’indifferenza con cui riusciamo a convivere per lunghi giorni, senza talvolta esserne più nemmeno consapevoli. Per questo il profeta, in un dialogo fittizio con la «voce» di Dio che «grida» la fedeltà del suo amore, si domanda apertamente:
«Che cosa dovrò gridare?» (Is 40,6).
E il Signore è ben felice di rivelare che, se anche l’amore del «popolo» secca come «l’erba» e appassisce come «il fiore», in realtà, la sua parola «dura per sempre» (40,7.8). Poi, per dichiarare in che modo la consolazione del Signore venga a visitare la nostra terra, il profeta ricorre all’immagine del pastore buono e premuroso verso il suo gregge:
«Ecco il vostro Dio! Ecco, il Signore Dio viene con potenza, il suo braccio esercita il dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede. Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna» (Is 40,9-11).
Nel brevissimo vangelo odierno, Gesù riprende l’immagine del pastore e delle pecore per approfondirla in relazione all’avvento del Regno nella sua stessa persona. Prima di entrare nei dettagli dell’insegnamento, Gesù attiva subito la cooperazione dei suoi ascoltatori, stimolando il loro sguardo critico: «Che ve ne pare?» (Mt 18,12). Attraverso la forma ipotetica, la forza interrogativa del linguaggio si trasforma nella richiesta ai discepoli di partecipare all’insegnamento parabolico con tutta la loro sensibilità:
«Se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita?» (Mt 18,12).
Per quanto possa essere molto rischioso abbandonare una grande disponibilità per avventurarsi alla ricerca di una pienezza possibile, non possiamo che sentirci in sintonia con questo tipo di generosità, disposta a rischiare tutto purché niente e nessuno «si perda» (18,14). Eppure, la gioia di Dio sembra vincolata anche a qualcosa che solo noi possiamo concedere:
«In verità io vi dico: se riesce a trovarla, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite» (Mt 18,13).
Dio non ha altro desiderio se non quello di salvarci e restituirci a una vita piena, eppure la sua unica – e ultima – difficoltà non è altro che la nostra ostinata incapacità di lasciarci incontrare, soprattutto là dove non vorremmo mai essere intercettati: nel nostro essere piccoli e smarriti. Che cosa ci pare? In questo tempo di Avvento riuscirà il pastore a condurci dolcemente verso Betlemme? Sapremo concedere a Dio la grande gioia di comparire disarmati di fronte alla mitezza del suo sguardo?
fonte © nellaparola.it
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Padre Gaetano Piccolo SJ
Mi piace fare domande, ma non ho la pretesa di ricevere risposte.
È un gusto, una curiosità, che comincia da me stesso.
La filosofia è il luogo privilegiato dove ho esercitato quest’arte della domanda.
Gesuita, professore ordinario di filosofia presso la Pontificia Università Gregoriana.
Il mio blog: https://cajetanusparvus.com
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