Addio 2020: breve storia sul 2020 che stiamo lasciando alle spalle.
Il 2019 era iniziato bene, tranquillo, nulla di eclatante.
L’apice della gioia l’abbiamo raggiunto quando, su volere espresso di Eugenio, andammo prima a Treviso e poi a Padova dove, per l’evento luttuoso della perdita del più grande dei cugini Ruberto, ci ritrovammo tutti, proprio tutti della grande e calorosa famiglia Ruberto.
Parlavo sempre ad Eugenio di tutti i miei zii: i miei nonni paterni, Giuseppe e Annunziata, ebbero 7 figli. 5 maschi e due donne.
Da loro nacquero 16 figli in totale. Giuseppe, il più grande, è volato in cielo. Io sono parte dei 15 cugini.
Eugenio, l’unico figlio dei 15 cugini, è volato in cielo.
Non è stato un caso che poco prima che scoprissimo la sua malattia abbia voluto conoscere tutti i suoi parenti Ruberto.
Ed inizia a settembre 2019 il nostro viaggio nella malattia, nella sofferenza, nella fede.
La prima tappa è Neuromed, Pozzilli (IS). Due operazioni di 8 ore circa ciascuna. San Pio ci protegge ed Eugenio supera brillantemente entrambe.
Ci racconta che dopo essere stato sedato in sala operatoria, lui continuava a vedere i carrelli con gli attrezzi chirurgici, le luci, e il parlare fra gli 8 medici tutti concentrati su di lui.
E da quel discorso capiamo che Eugenio è già in contatto.
In contatto con il Padre.
Così salutiamo il 2019 sommessamente: Eugenio con la sua malattia nel corpo e nella mente, e noi col cuore infranto e dilaniato.
Ma pieno di speranza.
Tra Policlinico Gemelli, Ospedale pediatrico Bambino Gesù, analisi del sangue, tac, risonanza magnetica, radioterapia, chiudiamo questo anno tra malattia, terapia, e dolore.
Dolore fisico e morale.
Inizia il 2020: l’anno che rimarrà impresso nella memoria, per sempre.
L’anno del covid19, con tutti i suoi disastri, le sue paure, i suoi distaccamenti, le sue limitazioni, la sua mancanza di sentimenti.
L’anno in cui il mondo scoprì, riscoprì e toccò la fede. L’unica salvezza.
L’anno delle terapia, alcune che funzionano ed altre che non sortiscono effetti. L’anno in cui abbiamo toccato la mano di Dio diverse volte.
Quando ci fu detto che le metastasi di Eugenio erano scomparse; quando nella pace e serenità di Assisi abbiamo conosciuto gli effetti devastanti dei tumori cerebrali e delle metastasi che si manifestavano con l’epilessia.
Quando una voce calda e soave di padre mi telefonò per rassicurarci che eravamo sempre nelle sue preghiere, e pregandoci che lui fosse sempre nelle nostre.
L’anno dell’affetto: degli amici, dei parenti, dei medici, degli infermieri, di sconosciuti, di lontani.
L’anno delle cure, precise, meticolose: troviamo nell’ospedale Bambino Gesù una casa, accogliente, serena, amorevole, pronta a salvare tutti.
I medici che seguono Eugenio non sono soltanto menti eccelse e professionisti capaci: sono amici!
Da mamma amorevole qual è, e con tutto l’affetto possibile, l’oncologa di Eugenio il 12 luglio, in dimissioni, ci disse: “stringete più a lungo possibile il vostro amato figlio, tenetelo nell’affetto della sua casa”
Il consiglio più amorevole che un medico può dare a genitori di un malato terminale.
Ecco quando la mano di Dio ci ha toccato ancora.
Tutte le volte che abbiamo stretto forte Eugenio al nostro petto, e lo abbiamo tenuto al sicuro.
Al sicuro lo abbiamo lasciato volare via, sereno, il 17 ottobre del 2020, di questo 2020 da ricordare.
La lapide di Eugenio ricorderà sempre questo 2020.
Ultimo aggiornamento il 17 Maggio 2022 by Remigio Ruberto
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